I 40 anni di “ The Wall”

DATA 30 Settembre 2021 - Antonio LUDOVICO

I 40 anni di “ The Wall”

A distanza di quarant’anni, quarantuno per l’esattezza, dall’uscita di uno degli album (doppio per la precisione) più fortunati e reclamizzati della storia del rock, sarebbe opportuno contestualizzare il periodo storico in cui “The Wall” vide la sua gestazione, ossia la fine degli anni settanta . Nel 1979 il gruppo londinese, balzato in vetta a tutte le classifiche di vendita qualche anno prima grazie a “ The dark side of the moon”, iniziò a tirare il fiato, le pile sembrarono un po’ scariche, cominciarono ad apparire una serie di album solisti dei quattro membri ufficiali, non tutti, a dire il vero, di particolare pregio artistico. Se a tutto ciò si aggiunge che il disco che precedette “The Wall”, ossia “Animals”(1977), fu più che altro un lavoro nel quale i quattro musicisti preferirono i suoni alle canzoni, con risultati non del tutto incoraggianti, si ha un quadro d’insieme non del tutto idilliaco dal punto di vista artistico, con conseguente bocciatura della critica più agguerrita, senza citare l’avversione palese di tutto l’universo punk, che stava deflagrando impetuosamente nel Regno Unito e non solo. Ed è proprio in quel periodo che, ciliegina sulla torta, cominciarono le prime vertenze legali (tutte miseramente perse)sul controllo del nome da parte di un Roger Waters insolitamente spigoloso, a dimostrazione di una crisi di rapporti che appariva irreversibile. Ma i guai di Waters non si limitarono alle incomprensioni con i vecchi amici e compagni del Politecnico londinese (l’istituto dove si conobbero i futuri Pink Floyd Roger Waters, Richard Wright e Nick Mason)poiché - durante un concerto a Montreal, il 6 luglio 1977, lo stesso bassista sputò in faccia a uno spettatore che stava tentando di scavalcare le transenne. Fu una scena dirompente nella psiche di un pacifista convinto qual era Waters, di un musicista che era stanco, forse provato oltremodo dai ritmi lavorativi estenuanti e, probabilmente, l’avere assistito a un pubblico scalmanato e poco attento alla sua musica, gli provocò un effetto debordante. Fu quella probabilmente la scintilla, lo scatto felino che alzò un muro invalicabile tra sè e i suoi innumerevoli fans, ma che gli diede la scossa giusta per comporre, quasi in solitario, uno dei più grandi capolavori di sempre. “The Wall”, infatti, appartiene di diritto a quei dischi irrinunciabili, a quei vinili che trovano posto in ogni collezione che si rispetti, nonostante risenta di un clima che non fatico a definire cupo e inquietante, nonostante qualcuno intraveda qualche stilla di pomposità, rimane tuttavia un album altamente ispirato. Perché la storia di Pink, il protagonista con seri problemi psicologici, entra nel cuore di milioni di fans di tutto il mondo, perché il muro che si abbatte tocca punte di meraviglioso nichilismo, perché la lettura cinematografica di Alan Parker, con interpretazione suggestiva di Bob Geldof, appare fedele allo scopo. Ma soprattutto perché il doppio album con la copertina bianca presenta momenti di lirismo puro, mischiato sapientemente a un pop rock metafisico  volutamente ambizioso. Come non citare l’assolo strabiliante di “ Comfortably Numb”, tutta farina del sacco di quel genio di David Gilmour o il coro degli studenti in “Another  Brick In The Wall” o ancora le stupende e claustrofobiche “Mother” ed “Hey You” o per finire l’elettrizzante “Empty Spaces”?Tutte perle luccicanti che uscirono a fiotti dal l’instabilità mentale di quel genio assoluto di Roger Waters e che gli decretarono, giustamente, un successo planetario che tarda ancora oggi a tramontare. Queste le ragioni che rendono l’album dei Pink Floyd un lavoro dotato di quella forza necessaria a superare brillantemente le usure del tempo e presentarsi, dopo quarantun’anni suonati, con una freschezza che seduce e ammalia. 
Antonio Ludovico

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