Il figlio del mare

DATA 7 Gennaio 2022 - Elisa Chiriano

Eliana Iorfida, Il figlio del mare, Pellegrini ed. 2020, pp.208

Giugno 1984: la bella Bianca Faragò si sveglia su una spiaggia calabrese della costa ionica, mentre il Grecale soffia impetuoso. Ha 14 anni ed è stata “violata” dal mare. Tra le gambe la sottoveste sporca di sangue e nell’acqua un velo da sposa da recuperare. È una ragazza inquieta, presenta disturbi di personalità e possiede un animo fragile, che mal si addice all’ambiente che la circonda. È una decadente eroina rivoluzionaria, nata e cresciuta nel posto sbagliato. Pazza, inaffidabile, magara, lunatica, fòra di càpu, dea e demone. La sua natura è simile a quella aspra e difficile del piccolo borgo calabrese in cui vive. È la metafora di una terra sedotta e abbandonata, un’icona di purezza, un essere delicato. La sua solitudine incontra altre solitudini, quelle dei protagonisti del romanzo: Jonio, il figlio del mare, che intraprende il suo viaggio fisico e interiore alla ricerca delle sue origini; lo zio Palmiro che è un pescatore, una figura ruvida, ma dal cuore buono; la nonna Angelina che cucina per i morti, per una forma di devozione popolare che non recide mai il legame tra questo e l’altro mondo; la professoressa Fiorella che riesce a leggere nell’anima. Le vicende si svolgono nell’arco temporale di circa quaranta anni, tra tempi antichi e moderni, tra il mondo pienamente rurale della provincia e la realtà delle città, tra emigrazione e speculazione edilizia che deturpa le coste. Narrazione e poesia si fondono, grazie a una scrittura fortemente evocativa e minuziosa, coinvolgente e appassionante. Un romanzo che ci parla del ritorno alle origini, di identità e di radici, di una terra che è archetipo di se stessa, luogo non-luogo, spazio geografico e immaginifico. Una storia declinata secondo l’impalcatura della tragedia greca, dove la prosa dei capitoli intreccia la lirica degli stasimi, degli interventi corali. È la storia di Bianca. È la storia di Jo, di un viaggio a ritroso nel tempo, nella memoria e nei ricordi, per gettare una nuova luce sul presente e per riscrivere il futuro. Si dice che nella vita, quando le persone o i luoghi sono veramente significativi, si ripresenta sempre la possibilità di ritrovarli. Il vento fa il suo giro e ogni cosa prima o poi ritorna, in una sorta di nostos, che trasmette il senso di circolarità del viaggio dell'esistenza, il cui fine ultimo è arrivare a noi stessi. La Calabria è da sempre terra di partenze e di ritorni, che quasi sempre diventano dolore più che consolazione, perché rimangono intrappolati nel labirinto di una memoria che diventa sempre più lontana e sfuggente, ma dalla quale non si può prescindere. Il nostos è la nostalgia, il “desiderio sofferto di tornare” a casa, per ritrovare le proprie cose, le proprie radici, ma soprattutto se stessi. È un continuo muoversi in avanti per il desiderio di tornare indietro, verso la nostra Itaca fisica e interiore. Indietro verso l’archè, verso l’origine di tutto. Indietro … per andare avanti! Il figlio del mare è un romanzo da leggere, da assaporare, da respirare, da gustare, da condividere. Una storia in cui perdersi vuol dire ritrovarsi!

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