Intramontabili Stones: l’addio al grande Charlie Watts e la vecchia diatriba legale con i Verve

DATA 6 Settembre 2021 - Stefano ZOCCALI

È di poche settimane fa la notizia della scomparsa del leggendario Charlie Watts, storico batterista e anima – quasi del tutto – candida dei Rolling Stones. Entrato per ultimo nella prima originaria formazione del gruppo, ne ha fatto parte fino all’ultimo giorno della sua vita, nel corso di una carriera che, volendo liberamente parafrasare il testo di una canzone di una giovane band bergamasca che tanto meritato successo sta riscuotendo negli ultimi anni, “in un mondo di Mick e Keith” non è mai stata incensata a dovere, oscurata dalla luce scintillante dei due leader. Mite e riflessivo, pur senza mai perdere di autorevolezza a parere dei compagni di una vita, è stato definito in particolare da Keith Richards come il vero collante della band, grazie al quale è stato possibile fare coesistere per quasi sessant’anni lo stesso Richards e Mick Jagger.
La scomparsa di Watts ha fatto riemergere numerosi aneddoti sulla storia passata degli Stones, ponendo in particolare l’accento sull’impatto sociale e sulle inevitabili influenze che la band londinese ha avuto sul mondo della musica, fungendo da ispirazione per intere generazioni di rocker. 
È così che è tornata alla mia mente la storia di un’ormai vecchia e sanata diatriba legale che vide protagonisti da un lato gli Stones (con in qualità di autori il solito duo Richards-Jagger) e dall’altro i Verve di Richard Ashcroft, band icona della fine del secolo scorso.       
Bitter Sweet Symphony, brano più noto dei ragazzi di Wigan, è il canto del cigno del britpop, l’epopea della cool Britannia tanto cara ai laburisti di Tony Blair che completava il suo ciclo vitale protagonista degli splendidi anni ‘90 e il seguito naturale di quell’indie rock irriverente a cui avevano abituato in precedenza band come Smiths, Stone Roses e Suede. Durante la seconda metà del decennio, infatti, proliferavano le copie carbone dei lavori degli Oasis e dei Blur. La band battle, furbescamente alimentata dai media d’oltremanica, fra i fratelli Gallagher e Damon Albarn era ormai finita da un pezzo e molte band peccavano di scarsezza di originalità ed erano ricche di quella banalità che, ahimè, mantiene in equilibrio il pianeta.
In questo marasma, però, “Richard Ashcroft & soci” se ne uscirono con Urban Hymns, un bell’album che al suo interno conteneva questa splendida perla, diventata nel corso degli anni una delle canzoni più riconoscibili di sempre e, non a caso, inserita dalla rivista Rolling Stone (sulle cui origini del nome è ovviamente superfluo soffermarsi) all’interno della lista delle 500 migliori canzoni di tutti i tempi.
L’idea era stata quella di utilizzare un riff di archi campionato dalla versione orchestrale di The Last Time dei Rolling Stones, riarrangiata negli anni ‘60 dalla Andrew Oldham Orchestra per l’album The Rolling Stones Songbook. Prima dell’uscita del disco, i Verve negoziarono un accordo commerciale con Allen Klein, manager e fondatore di ABKO Records, etichetta musicale che deteneva i diritti di autore del materiale musicale degli Stones e che amministrava il catalogo delle loro vecchie composizioni, in base al quale avrebbero potuto fare uso del campionamento. 
Tuttavia, l’uso del sample di The Last Time in altri ambiti commerciali non era stato autorizzato, nonostante i ripetuti tentativi della band di ottenerne i diritti. Per questo motivo, l’ABCKO Records, citò in tribunale i Verve per aver violato le norme sul diritto d’autore. 
Infatti, nel 1997, l’album dei Verve cominciò a riscuotere un successo planetario, salendo fino alla posizione numero 23 della classifica di Billboard. Iniziò, così, l’aspra battaglia legale promossa dallo stesso Klein, che, nonostante i pregressi accordi e ingolosito dagli ormai più che scontati proventi milionari, costrinse i Verve a versare i profitti derivanti dal brano alla stessa ABKCO Records. 
La causa si risolse, quindi, in sede extragiudiziale, con l’ABKCO Records che acconsentì all’uso del campione solo dietro il pagamento del 100% delle royalties e previo l’inserimento di Mick Jagger e Keith Richards fra gli autori della canzone.
Klein affermò che il gruppo aveva violato gli accordi utilizzando troppo apertamente il campionamento del brano degli Stones e, capitalizzando il successo del brano, diede il benestare alla concessione di Bittersweet Symphony alla Nike e alla Opel per una serie di spot pubblicitari, oltre che come colonna sonora in svariati film e in una puntata dei Simpsons. 
Soltanto nel 2019 le due leggende decisero poi autonomamente di rinunciare ai diritti sulla canzone, ma, nel frattempo, il pezzo era già passato alla storia come scritto da loro in un insolito “combinato disposto” con Richard Ashcroft, confermandosi tutt’ora, a distanza di un quarto di secolo, un successo senza tempo.
Il gentlemen agreement con i Rolling Stones stabilì, in conclusione, che ad Ashcroft andranno tutte le royalties che Bitter Sweet Symphony realizzerà dal momento della formalizzazione dell’accordo. A tal proposito, lo storico leader dei Verve, ha manifestato tutta la sua felicità e tutto il suo apprezzamento nei confronti del gesto degli Stones attraverso una dichiarazione sintetica quanto chiara: “la musica è potere”. Un potere che alle volte è, fortunatamente, più grande di qualunque controversia legale e di qualunque interesse terzo, soprattutto se accompagnato da quella dose di calma e autorevole lucidità che perfino due figure carismatiche e trasgressive come Mick Jagger e Keith Richards hanno imparato ad apprezzare dal loro amico di una vita: Charlie Watts. 

Stefano Zoccali

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