Siamo i luoghi che abitiamo e persino quelli che (ancora) non conosciamo e curiamo.

DATA 22 Gennaio 2022 - Doris Bellomusto, Roberta Cricelli

Avete mai pensato a cosa realmente ci spinge a dire “questo è il mio posto nel mondo?”.

La connessione che instauriamo con i luoghi in cui viviamo, abbiamo vissuto o passeggiato anche una volta sola per caso, si muove su un filo ancestrale di istinto e necessità. Le zolle di mondo che calpestiamo, che malediciamo perché sono rattoppate o cadenti, finiscono col parlare di noi. Ce lo ha dimostrato la pandemia, intrappolandoli, per un tempo che è parso infinito, in una bolla di assenza, fino a farci mancare come ossigeno perfino quel vicolo stretto, di cui nemmeno ricordavamo l’esistenza. Perché il luogo sarà pure una parte delimitata dello spazio, ma sa assorbire storie e farsi universo. Per questo forse adesso, lo slancio a ripopolare i piccoli borghi, a far roteare verso Sud tutta la mole di lavoro e di pensieri da poter mettere in ordine dalla giusta distanza, sembra quasi diventato un esercizio dell’anima. Fosse anche solo per l’indignazione di veder bruciare ettari di linfa vitale o per il gioco serio di scrivere versi e racconti, attorno a una terra densa di storia, cultura e paesaggio, che cammina sul filo dell’erranza, tra sacro e profano. Fosse anche solo per questo varrebbe la pena di investire energie per esaltare la Torre Cavallara di Catanzaro, "Luogo del Cuore" per il Fondo Ambiente Italiano, preziosità nascosta e da scoprire. Un esercizio dell’anima a cui l’associazione “Calabria Contatto” cerca di tener fede dal 2015 e con maggiore organicità dal 2017: mettere insieme più tasselli d’Italia, nel tentativo di divulgare, tutelare, riscoprire ed esaltare in modo efficace la bellezza che, tra luci e ombre, il grembo calabro custodisce.

Vi” parlo” scrivendo, come se la mia voce balzasse dall’ inchiostro alle alte frequenze di questa radio, vi rivolgo la stessa domanda che pongo a me stessa ”nel mio piccolo cosa posso fare?”. 

Vago, con un bagaglio colmo di dubbi, aspettative e voglia di costruire. Incrocio lo sguardo di Doris, che dalla Calabria è distante solo fisicamente, ma sa richiamarla a sé con la lingua, il ricordo, la nostalgia e la meraviglia. Mi imbatto nel suo pensiero che mi culla e insieme mi scuote. Ho camminato a lungo, pensato a questo paese, al senso di abbandono e di resa. Ho ritrovato con fatica i ricordi che fanno di me una donna sempre un poco in disordine, distratta e sbreccata, come le ceramiche usurate dal tempo, ma che non si buttano perché contengono troppa memoria. Ho camminato e ho ascoltato la verità di un posto che assomiglia a tanti altri in Calabria, in Sicilia, in Campania ma, forse, anche in Argentina, in Messico, in Brasile potrebbero esserci posti così sinceri e nudi. Il mio paese in certi angoli è brutto, incompleto, disordinato, sfatto, rovinato, distrutto, decadente. Ma io più cresco, più mi convinco che in questa nudità siano nascosti nuovi semi di consapevolezza. Non assomiglia a niente il Sud, è violento e abusato e urla, chiede di essere preso così, curato, ricucito, rianimato. E mi restano negli occhi case abbandonate e un girasole all'ombra.

Mi consegna un canto di appartenenza, che non cela l’amaro, ma non si preclude la speranza. Lei che torna alle radici e si interroga, ferita eppure così affamata di riscatto.

Nudità

Sventrato è il sud. 

Spietato sole spia le ossa 

rotte di scheletri immobili 

su strade provinciali. 

Quegli scheletri aspettavano 

di farsi vivi e ricchi 

con le genti di Germania,

Svizzera, Francia, 'Merica.

Non è accaduto.

Intorno è sbocciato 

il cimitero dei vivi. 

Rabbia si respira. 

Rabbia che sale

dal ventre alla lingua

e si scioglie 'nta jastima

ara Beata Vergine. 

Ma questa terra 

di vergine

non ha più niente. 

Sulu u sangu resta vergine.

È quasi un appello il suo che, restando in tema di parole, viaggio e musica, andrebbe a braccetto con lo spirito degli “Arangara “, il gruppo folk di Gianfranco Riccelli. Il musicante e paroliere che di Calabria e di luoghi del mondo fu alfiere, per bocca di un uomo umile e acuto, lascia scivolare la propria voce amara ma limpida come il suo territorio, tra le note del brano “Mio caro presidente se leggete”, contenuto nell’album “Terra di Mari”. Una lettera aperta, a tratti disperata, ma mai stanca, nella quale sonorità popolari dal respiro mediterraneo e montano, ricercano la prossimità quasi conviviale delle istituzioni, mettendo in valore una realtà della quale la gente ha già colto il potenziale. Se i luoghi, allora, sono porzioni dell’infinito e i nostri corpi sono nati per dargli senso, cosa abbiamo da perdere nel provare a sporcarci le mani? Di pioggia buona, che purifica. Che benedice il platano secolare di Curinga, ma non fa crollare i ponti, che leviga le strade e plasma i porti, che non si arrende, magari va solo a riposare. C’è chi dice che i luoghi, prima o poi, con questa smania di globalità, finiranno con l’assomigliarsi tutti. Che è vigliacco chi parte e illuso chi resta. Che chi riesce ad andare ce l’ha fatta, chi deve rimanere si accontenta e chi sceglie di tornare è un Don Chisciotte. La verità assoluta, forse, non esiste; eppure, se dopo essere arrivati pazientemente alla fine di questo itinerario, vi verrà voglia di mettervi in cammino verso uno scorcio di cielo, di mare e di campagna o monte che percorreste a menadito o che non avete mai esplorato e vorreste diventasse anche vostro, qualcosa significherà. Ne state già programmando la cura. 

Il sentiero lungo il quale abbiamo tentato di condurvi, quindi, forse, non sarà stato vano.   

Doris Bellomusto, Roberta Cricelli “Associazione Culturale “Calabria Contatto”. 

https://www.calabriacontatto.it

 

Associazione Culturale Darvin.eu
Via De Gasperi, 7 - 88100 Catanzaro
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