La rivoluzione della cucina e la figura del cuoco

DATA 6 Settembre 2021 - Alessia DE SIENA

C’era una volta il trinciante, lo scalco maggiore, il sopra cuoco e i cuochi semplici. 
Il cerimoniere. 
il cuoco di corte, il cuoco di nave e il cuoco di casa. 
L’oste. 
Tanti gli antenati dello chef moderno, risoluto e sicuro di sé che siamo abituati a vedere. 
Come tante sono le ragioni che hanno portato alla costruzione banchetto dopo banchetto di quella figura forte e fragile, a volte rozza quanto elegante, competitiva e schiva che è oggi quella dello chef. 

Finchè un giorno arrivò un ragazzo della provincia lombarda, un certo Gualtiero Marchesi, il Cuoco, il Maestro, che la concezione di cucina l’ha stravolta completamente. 
Potremmo dividere la storia della gastronomia italiana – ma forse non solo italiana- in un “avanti Marchesi “ e un “ dopo Marchesi” senza nessuna paura di esagerazione. 
Fino alla rivoluzione marchesiana infatti il cuoco era umile esecutore di piatti tradizionali, abbondanti e straripanti di sapore  ma poco avevano a che vedere con l’arte, la ricerca, lo studio con cui oggi ci approcciamo alla cucina. Un po’ come paragonare le iscrizioni preistoriche ritrovate nelle caverne all’opera di Botticelli o di Michelangelo. Entrambe figlie di un’esigenza comunicativa ma ben diverse nel metodo.  
La più grande intuizione e cambiamento del Maestro non sta tanto nei suoi piatti quanto nella sua concezione del cuoco stesso: basta con l’approssimazione, basta con le magliette bianche tutte sporche, basta con l’idea del cuoco come un manovale tra pentole e padelle. Ecco che si palesa nel tempo una figura diversa, fatta di tecnica, studio, viaggi,scoperta e riscoperta. Non si abbandona – mai- la tradizione che diventa strumento di accompagnamento di una nuova melodia gastronomica. 

E facendo uno slalom tra tantissimi illustri esempi, più per esigenze di redazione che di importanza, arriviamo ai nostri tempi o quanto meno a qualche decennio fa quando quella figura di cuciniere cambia ancora. Si iniziano a vedere i primi programmi in tv ( anche in questo Marchesi è stato avanguardia), il livello dei ristoranti è sempre più alto e di conseguenza la competizione. Insieme ad una vita sempre più frenetica e performativa aumentano le ore di lavoro, cresce la competizione, il ritmo è incalzante, non c’è spazio per la vita personale, non c’è tempo. Si corre, si taglia, si arrostisce, si nappa, si decora, si flamba, si manteca. E possibilmente lo fai con i 50 gradi di una cucina. A dicembre. I tuoi occhi non sono più due, ma diventano tanti quanti le preparazioni che hai da tenere sotto controllo. Fai tutto ciò mentre lo chef , che è stato al tuo posto 20 o 30 anni prima, ti incalza, ti chiede quanto ci vuole ancora per quel maledetto filetto mentre ti abbaia nuovi ordini. Che poi a dirlo cosi mi sembra di edulcorare notevolmente la realtà delle cose. Niente per favore o grazie, nessuna sensibilità per l’emotività altrui, non c’è spazio per le “femminucce” ( in tutti i sensi, ma questa è un’altra storia). Devi muovere le mani, velocemente ma perfettamente. Ed è sotto questo ritmo folle, tra una stella Michelin e critici gastronomici spietati, che il cuoco diventa un ribelle, un funambolo tra il giusto e lo sbagliato, tra il sano e il malsano, tra il legale e l’illegale. Dietro le porte delle sale più eleganti si nascondono i soggetti più particolari che potreste mai incontrare. Le celle diventano coffee shop di Amsterdam, la dispensa una bisca, gli spogliatoi santuari di promiscuità. E se mai stesse pensando che tutto questo sia una gigantesca iperbole, che in qualche modo stia esagerando, beh forse non avete mai letto pietre miliari come “ Kitchen Confidential” del compianto chef Anthony Bourdain , che per primo si accolla l’onere di abbattere il muro di omertà che esisteva riguardo uno dei lavori più stressanti al mondo. Tutti sanno ma nessuno dice. Così, sotto una pioggia di critiche, fa trapelare la realtà delle brigate, sdoganando l’idea che dietro le porte saloon non ci sono tenere nonnine armate di mattarello ma veri e propri soldati con il coltello tra i denti pronti all’assalto, esagerati, disagiati, competitivi, aggressivi. Altro che politicamente corretto. E questa immagine – ripulita e ingentilita- arriva fin dentro le nostre case con personaggi del calibro ad esempio di Gordon Ramsay, famoso non tanto per le sue mille mila stelle Michelin, ma per i suoi modi rudi, le sue battute ciniche e per essere campione olimpico di lancio del piatto. Abbiamo anche esempi autoctoni che hanno contribuito a creare uno stereotipo sulla cucina, specialmente in certi celeberrimi programmi tv che hanno dato un’idea distorta del cuoco ormai gastrofighetto che prepara un unico piatto megalattico nello stesso tempo in cui nella realtà di svolge un intero servizio. 

Ma in tutto questo, quindi, chi è adesso il cuoco moderno? È ancora “ lo scarto della società che se non facesse il cuoco non potrebbe fare altro” che ci dice Bordain? È l’intellettuale che sognava Marchesi? Ci siamo evoluti e ammorbiditi? 
Non saprei. Io non ho abbastanza vita alle spalle per fare un paragone basandomi sulla mia esperienza ma basandomi invece sui racconti, sulle esperienze, guardando ed osservando credo che il cambiamento ci sia. 
La pandemia ancora in corso che ha bloccato l’intero mondo ha solo accelerato un cambiamento che stava già avvenendo .
Non solo cambia la ristorazione, tutto diventa sempre più digitale, ma cambiano anche i bisogni e le priorità. Lo chef, imprenditore di se stesso, ora pensa certamente al profitto ma desidera anche avere una vita, del tempo di qualità. E in questo la tecnologia, i social in particolare, aiutano. La comunicazione di massa ha permesso non solo allo chef di Marsala di conoscere, approfondire e magari collaborare con lo chef di Tokyo,ma è un’importante mezzo di pubblicità e di possibilità di profitto. Nascono ogni giorno nuove forme di ristorazione, con formule diverse dal solito pranzo o cena più o meno formali.. 
Lo chef del 2021 magari non sarà lindo e pinto come nell’immaginario marchesiano,ha i tatuaggi e i capelli fucsia. Sono un po’ venute meno le formalità più superflue forse per fare spazio ad una visione più ampia. Il cuoco del 2021 se vuole reggere la battaglia tra le armate dei food blogger, la fanteria dei critici della domenica e i reggimenti dei “ chiunque può cucinare”, deve necessariamente studiare. E lo deve fare di più del cuoco del 1990. Deve partire dalle basi per poterle stravolgere. Deve conoscere più che mai il vecchio e il nuovo e incontrarli a metà strada. Deve viaggiare con il corpo e la mente. Deve amare la cultura della propria terra tanto intensamente quanto forte deve essere la curiosità per ciò che è diverso e lontano. E questo inevitabilmente – o almeno dovrebbe- porta ad un cambiamento anche del clima che si respira nelle brigate. Ora sappiamo che  tante cose della cucina di Bourdain sono anacronistiche. Noto che tanti cuochi della mia generazione hanno interrotto quel ciclo rancoroso per il quale tratti gli altri per come sei stato trattato, a discapito di un insegnamento proficuo. 
Non vi aspettate le cucine moderne come gli uffici di Google ma di sicuro è molto meno frequente persino la violenza verbale e fisica che omertosamente aleggiava trent’anni fa tra capi e sottoposti. 
Ah per non parlare della crescita esponenziale delle quote rosa, ma come dicevo è un’altra storia. 
Vabbè ma quindi il cuoco dei nostri tempi è migliore o peggiore? 
Probabilmente nessuno dei due, forse è solo diverso. Stiamo assistendo ad una nuova fase, ad una nuova rivoluzione, ad un nuovo capitolo di un libro che non ha bisogno di un “vissero felici e contenti” perché racconta di una storia d’amore senza fine. 
Perche la cucina a dispetto di ogni ironia è una lunga storia d’amore. 

Alessia De Siena 

Associazione Culturale Darvin.eu
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